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Il dolore fa male!
Ricostruire se stessi dopo una lunga sofferenza

"Se davvero la sofferenza impartisse lezioni,
il mondo sarebbe popolato da soli saggi.
E invece il dolore non ha nulla da insegnare
a chi trova il coraggio e la forza
di starlo ad ascoltare."

Freud

"Soffre ciò che cambia, anche per farsi migliore."
Pasolini

Il dolore fa male! È tautologico affermare questo, ma non banale, perché siamo portati a dire a noi stessi che fa paura, che fa chiudersi, che fa deprimersi. La verità è che prima di tutto il dolore fa male! Le connessioni tra mente e corpo sono evidentissime nel caso del dolore: il corpo ne porta i segni. Quando stiamo male psicologicamente ed emotivamente, il nostro corpo soffre. È per questo che il linguaggio della sofferenza è il linguaggio del corpo. Si dice, infatti, “urlare di dolore”, “ferita dell’anima”, “sentirsi annodare le viscere”…
È per questo che negli ultimi decenni gli studi di psicosomatica hanno dimostrato in maniera sempre più consistente gli effetti del mondo emotivo sul corpo, studiandone collegamenti e influenze.

Il dolore succede e basta, non è possibile proteggersene se non correndo il rischio di negarlo con tutte le relative conseguenze. Però, è possibile scegliere come usarlo: va lasciato parlare, senza aver paura di ascoltare quello che dice, solitamente urla. E poi, dopo che ha urlato, o ha bruciato, o ha lacerato, quando ne è rimasta solo una cicatrice da cui escono fantasmi, va usato: reso una leva che può servire per scardinare gabbie, per scavalcare ostacoli, o anche solo per togliere la polvere dalle ali. Ma affinché ciò avvenga bisogna restare dentro quel fuoco che brucia o  quell’acquazzone che inzuppa l’anima, perché se poco ci lasciamo bruciare, o poco ci lasciamo bagnare, poco sarà quello che diventeremo. Invece, bisogna sfracellarsi, passare attraverso il dolore, fino in fondo, per poi uscirne nuovi, asciutti, rinati, salvi. È solo allora che sarà possibile liberarci dall’attaccamento ad un dolore, rilasciando energia negativa: questo è il perdono, nel caso in cui la sofferenza dipenda dall’aver subìto le conseguenze di comportamenti messi in atto da altre persone.

Gli effetti della sofferenza sono che il cuore si dilata, si spoglia, e rimane scoperto. Questo può rendere più empatici, ed è allora che il dolore degli altri arriva dritto al cuore, come se fosse nostro, come se ci appartenesse; oppure può far diventare più insensibili, innalzando mura protettive rispetto al dolore degli altri, perché il nostro ci ha consumato così tanto che quello altrui rischierebbe, facendolo entrare, di portar via la crosta faticosamente creata sulle ferite. Il dolore, in ogni caso, rende nudi, permeabili alla luce, senza pelle si dice. E per far ricrescere la pelle nuova e insieme ad essa i pezzi di anima che sono stati profondamente feriti, c’è bisogno di far spazio al nuovo e di non alimentare il passato guardandosi indietro.

Ciò non è in contraddizione con la necessità di attraversare tutto il dolore senza farsi sconti. Significa che, fatto questo lavoro di starci dentro, ad un certo punto, messe in atto tutte le strategie necessarie per uscirne, occorre guardare avanti e fare realmente quel salto nel presente/futuro, che permette di incanalare le energie residue in qualcosa che consente di curare l’anima, andando a ricostruirne nuovi pezzi, quelli che sostituiranno davvero quelli bruciati e spazzati via dalla sofferenza.

Qui si entra nella soggettività più estrema: ognuno ha la propria personalità, la propria sensibilità, i propri punti deboli, e le proprie risorse! Per cui ognuno, così come gestirà con tempi e modalità la discesa negli abissi del dolore a modo suo, così altrettanto a modo suo affronterà la risalita verso il benessere.

Va da sé che non devono esserci giudizi da parte di chi sta vicino alla persona che soffre (“fare così va bene”, “fare così va male”). Ciò non farebbe altro che aumentare la percezione di non essere capiti e quindi alimentare altro dolore, come quello che dà la solitudine. Un buon modo per stare accanto a chi soffre è semplicemente esserci! Condividere il dolore, anche solo con la presenza di una persona affettivamente significativa, vuol dire diluirlo, percepirne meno il peso; attraversarlo insieme a qualcuno permette di vedere altro oltre a ciò che sono in grado di vedere da soli i nostri occhi, di sentire sensazioni nuove, o affievolite, o diverse.

Un aspetto utile e importante quando si attraversa un periodo di sofferenza è anche imparare qualcosa, che è l’unica cosa che non fallisce mai, è l’unica cosa di cui la mente non si stancherà mai, non ne sarà mai torturata, né spaventata, né mai se ne pentirà. Fare questo sarà funzionale anche ad associare all’esperienza della sofferenza trascorsa qualcosa di nuovo, che, come dicevo prima, renderà più probabile il salto nel futuro attraverso lo stare nel presente che farà da ponte per uscire, appunto, dal dolore sofferto.


Dott.ssa Irina Boscagli
Psicologa Psicoterapeuta a Firenze

Dott.ssa Irina Boscagli

Psicologa Psicoterapeuta a Firenze
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