"La fiducia non è una vuota illusione, e alla fine, è
l’unica cosa che può far sì che il nostro mondo privato non diventi un inferno."
Hannah Arendt
"Il perdono libera l’anima, rimuove la paura.
È per questo che il perdono è un’arma potente."
Nelson Mandela
Fidarsi per gli esseri umani è naturale perché ognuno di noi per il solo fatto di essere al mondo e di essere cresciuto, ha avuto esperienza di qualcuno che si è preso cura di lui.
Nello stesso tempo è rischioso in quanto è una scommessa, e quando scommettiamo c’è rischio. Ma il rischio è connaturato alla fiducia, altrimenti il senso più intrinseco della parola fiducia verrebbe meno: senza probabilità di rischio non ci sarebbe bisogno di fidarsi.
Ogni persona ha un livello base di fiducia correlato alle esperienze precoci della sua vita e al messaggio implicito ricevuto dalla sua famiglia di origine. E quindi c’è chi tende a fidarsi sempre o quasi, perché pensa che gli altri siano protettivi o migliori di lui; chi invece ha la tendenza a non fidarsi di nessuno, se non in seguito a puntuali controlli e conseguentemente al ricevere sostanziali garanzie. Qualsiasi sia il grado di fiducia con cui per natura si tende ad approcciare il mondo e le relazioni, la probabilità di essere delusi è alta per tutti, dato che chi ha intenzione di nascondere, ingannare, truffare, tradire solitamente è sufficientemente in grado di farlo. E’ chiaro che chi ha tali intenzioni sarà facilitato da chi ha fiducia in lui. Ecco perché la fiducia costa e si dice “togliere la fiducia” come atto ostile verso chi non se la merita, oppure “dare fiducia” come dono per chi, invece, l’ha conquistata.
Poiché c’è comunque un rischio, sia nel fidarsi, sia nel non fidarsi, chi è tendenzialmente ottimista sceglie ciò che dà più vantaggio, mentre chi è pessimista sceglie ciò che comporta la minor perdita. Ecco che le persone ottimiste sono più soddisfatte ed hanno più successo e più salute di chi tende a non rischiare. Infatti, non avere fiducia genera depressione, che a sua volta genera sfiducia, come normalmente accade nelle spirali involutive umane. Però, a causa della nostra non autosufficienza, la fiducia è una necessità. E’ sempre un salto nell’ignoto, ma è questo a mantenerci vivi. Occorre imparare, però, a scegliere come proteggersi, come valutare, e se e come donarla agli altri. Come dice Olga Chiaia, “la fiducia è speranza e promessa. Più si è stabili e sintonizzati con se stessi, più si è disposti a lasciarsi contaminare dall’incontro con l’altro, a fidarsi, sapendo che non andremo in mille pezzi se sbagliamo, che l’integrità del nostro centro non può essere distrutta. Occorrono consapevolezza e confini chiari e permeabili. Alla peggio perderò qualcosa, anche molto, ma non me stesso”.
Capita, però, che una persona sia stata un bambino non desiderato e, avendo percepito di essere un peso per chi si prendeva cura di lui, il rischio è quello di non aver sentito la fiducia di base negli altri e nel mondo, come una certezza e, di conseguenza, di essersi costruito confini troppo rigidi per proteggersi e quindi di tendere ad isolarsi, o troppo fluidi e quindi di lasciarsi invadere. In questi casi la relazione con se stessi, col proprio corpo, con gli altri, col mondo e con la vita è minacciata dalla mancanza di fiducia primaria, dal non credere che una base sicura sia possibile, dal ritenere che le persone buone non esistano, ma anche dal non considerare se stesso una persona affidabile e giusta. Su questi presupposti è impossibile l’amore e la gioia di vivere (ma anche una psicoterapia che, perché funzioni, ha necessità che si crei un legame di fiducia tra la persona e il terapeuta). In situazioni come queste siamo di fronte ad un danno evolutivo che va prima compreso e rispettato, e solo in un secondo tempo riparato.
Il legittimo bisogno di essere visti e riconosciuti quando viene compensato cercando consensi, applausi, soldi, like ecc.in realtà non viene soddisfatto in quanto tali modalità non colmano a lungo il bisogno di contatto fiducioso con se stessi, e con gli altri. E’ che quei surrogati di riconoscimento di sé sono meno faticosi da raggiungere di quanto non lo sia un’autentica fiducia in se stessi, nel mondo e nella vita.
La sfiducia, dunque, crea distanza, barriera; la fiducia, invece, favorisce l’intimità. Piero Ferrucci, infatti, scrive: “fiducia e gentilezza camminano assieme mano nella mano. La gentilezza è fiduciosa e pronta a scommettere, è vicina agli altri. La fiducia è gentile perchè tratta bene il prossimo”. Possiamo aggiungere che le persone che non si fidano non si affidano, a meno che non siano disorientate o disperate, ma è un affidarsi magico, irreale, che porta verso una delusione certa confermando la sfiducia iniziale. Un affidarsi reale è permesso, invece, dalla capacità di aprirsi a una relazione vera con la vita, rispettosa, e in cui sentirsi rispettati.
Poiché, come abbiamo detto, la fiducia porta con sé il concetto di scommessa, l’evento con l’impatto emotivo più alto in termini di rischio è quello del tradimento. In ogni relazione fondata sulla fiducia si corre il rischio di essere traditi e di tradire: i figli possono tradire i genitori e viceversa, si possono tradire gli amici, gli amanti, la comunità dove si vive.
James Hillman in “Puer aeternus: tradimento e perdono” su questo tema ha scritto molto e ritiene che il tradimento sia un passaggio di vita necessario, ossia che la fiducia primaria debba essere spezzata affinché i rapporti evolvano, e che una crisi, una rottura caratterizzata dal tradimento sia importante per imparare a distinguere il sé dall’altro, per imparare a fidarsi e a diffidare nello stesso tempo: imparare a fidarsi e imparare che si può essere traditi, fanno parte dello stesso processo di formazione. Il tradimento è, quindi, una “iniziazione ad una nuova coscienza della realtà”: la fine dell’illusione dell’Eden e l’inizio della vita reale con il passaggio dall’idealizzazione dell’altro (“disumano paradiso”) alla consapevolezza dell’umanità dell’altro. Quindi, Hillman giunge a sostenere che non c’è amore e fiducia, senza possibilità di tradimento, e anche che “come la fiducia ha in sé il seme del tradimento, il tradimento ha in sé il seme del perdono”. Il tradimento è, quindi, il lato oscuro della fiducia e del perdono, è ciò che li rende possibili.
E qui si apre un bivio: vivere nel risentimento, odiando il futuro, diventando cinici, vendicandosi, deprimendosi, restando paradossalmente fedeli all’amarezza del tradimento, perdendo senso di sé e autostima oppure perdonare, che non significa dimenticare, ma restare integri, continuando ad amare, riconciliandosi con l’evento tradimento?
Se si resta ancorati al trauma, al dolore del rischio dell’abbandono, alla ferita del “noi coeso” che si è infranto, al risentimento verso l’altro accompagnato dalla perdita della stima di sé, si è esclusi dall’amore, invasi dalla solitudine, e quindi tagliati fuori dalla vita. La scoperta del tradimento, interrompendo bruscamente l’inconsapevole scorrere della quotidianità, “scardina l’immagine di sé perché ne spezza la narrazione”, come dice Gabriella Turnaturi, che continua spiegando che “l’essere traditi è un’esperienza non collocabile in una continuità temporale, ma è l’esperienza dell’interruzione, e la vita viene narrata alla luce di questo spezzarsi della continuità, c’è un prima e un dopo il tradimento.”
E’ chiaro che, invece, il perdono equivale a continuare a vivere: a chi ha commesso l’offesa viene donata l’”assoluzione” e può portare avanti la sua vita, la sua relazione, e soprattutto chi ha subìto l’offesa dona a se stesso il riprendere in mano pienamente la propria vita nel presente smettendo semplicemente di sopravvivere (situazione fisiologica che caratterizza i primi tempi successivi all’aver subito la ferita “mortale” del tradimento). Ecco che il per-DONO è un duplice regalo.
Ma cosa rende così difficile il perdono? Sicuramente lo rende estremamente complesso l’istinto di affermazione di sé che rivendica la sua dignità calpestata. In questo senso è fondamentale che colui che ha tradito riconosca di aver offeso, mostri pentimento per aver compiuto un’azione che provoca tanto dolore nell’altro, e dimostri di essere capace di empatizzare con la sofferenza dell’altra persona. Oltre a ciò, perdonare è difficile perché “contraddice ogni logica e ogni contabilità”, come scrive Piero Ferrucci. Infatti non è con la volontà che si giunge al perdono, che sia di colui che è stato tradito verso il traditore, o di quest’ultimo verso se stesso.
Cosa rende, dunque, possibile il perdono? E’ necessario allargare la visuale al significato di ciò che è accaduto, e per fare questo occorre imparare a vedere le cose da un’altra angolazione, da una prospettiva diversa: giungiamo a contattare un altro luogo interiore, un nucleo nostro che non è ferito, che è sano, aperto, radicato. Si può fare questo, ognuno a modo suo, rimettendosi in contatto con la parte vitale, fiduciosa e contenta di sé, attraverso l’attività fisica, la meditazione, la preghiera, l’arte. Ciò consente di “andare in un altro luogo dentro se stessi, dove c’è più spazio, più respiro, dove l’amore e la bellezza sono possibili, allora non occorre fare il minimo sforzo: il perdono c’è gia” (P. Ferrucci).
Anche Hillman sostiene che la soluzione deve arrivare da chi subisce il tradimento, nel senso che se la persona tradita trova il modo di risorgere, dandosi un’interpretazione di ciò che ha subìto, il tradimento può essere, sebbene traumatica, un’esperienza creativa, che assomiglia ad un miracolo: “l’amore che pareva morto, finito, gettato nella polvere, senza speranza, ritorna in vita, ricomincia, riparte” (Recalcati), pur restando visibili (e sensibili) le cicatrici del tradimento. Questo concetto è ben espresso dall’antica arte giapponese del Kintsugi, che prevede di riparare qualcosa che si rompe mettendo dell’oro nelle crepe che si sono create: “Il vaso non può tornare com’era prima della sua rottura. Il perdono non può cancellare la ferita. Piuttosto, quando accade, trasforma la ferita elevandola alla dignità della poesia” (Recalcati).
Dott.ssa Irina Boscagli
Psicologa Psicoterapeuta a Firenze
Psicologa Psicoterapeuta a Firenze
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