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Depressione Post Partum

L'ARTE DI PARTORIRE… il parto come metafora del rapporto madre-figlio

La teoria della psicoterapia della Gestalt propone un quadro di riferimento teorico-pratico che permette di collocare l’”evento parto” in una prospettiva originale e funzionale alla comprensione dello sviluppo del rapporto madre-figlio: una prospettiva proattiva che considera l’evento parto come un processo che mira alla soddisfazione di un bisogno attuale dell’organismo della donna, cioè partorire, far nascere il proprio bambino! Si tratta di far leva sulla capacità della donna di farcela e quindi di muoversi nella direzione proattiva tracciata dal suo organismo a livello fisico, cognitivo ed emozionale. In parole più semplici: la donna ha tutte le capacità di raggiungere l’obiettivo di dare alla luce il suo bambino, non subendo passivamente l’ “evento parto”, ma integrando attivamente “abilità” fisiche, cognitive ed emotive!

Anche dalla mia personale esperienza relativa ai parti dei miei due figli, ho capito che il modo in cui una donna affronta questo evento rappresenta un paradigma delle sue strutture psichiche più profonde. Durante entrambi i travagli (ma del primo ho una consapevolezza più lucida perché ero più in forze e sentivo tutta l’energia che possedevo canalizzata nella potenza di quell’evento) sentivo che i miei “confini” dovevano necessariamente allargarsi molto e quanto prima, per contenere sensazioni dolorose potenti, di un’intensità unica e dovevano lasciarsi andare senza rompersi (livello fisico). Mi sono aiutata con le visualizzazioni (livello cognitivo): ho immaginato spazi aperti (il mare, sconfinate pianure, deserti…). Questo ha facilitato enormemente il lasciarmi invadere dal dolore della contrazione, ogni volta che arrivava, senza opporvi resistenza, con la consapevolezza che, terminata la contrazione, il dolore sarebbe cessato, fino all’arrivo di quella successiva, in un fluire regolare di dolore pervasivo e quiete rassicurante. Questo “movimento” attivo e integrato di corpo e mente conteneva le mie emozioni che fluttuavano dall’incredulità, al timore, alla gioia (livello emotivo)

Ho ripensato spesso e volentieri alle due esperienze più potenti della mia vita e, anche leggendo molto materiale sul parto, convengo con Margherita Spagnolo Lobb (psicoterapeuta della Gestalt), nel sottolineare il “potere fortemente evocativo del parto come agente di cambiamento nella vita della donna e i suoi collegamenti con la funzione di madre”.

Il dolore crea uno stato di crisi, che può essere superato “allargando” i propri confini. La donna, al momento del parto, ha l’opportunità di vivere un’esperienza funzionale alla propria crescita, cioè quella di imparare ad integrare il dolore nella propria esperienza, con la consapevolezza che si tratta di un dolore canalizzato, finalizzato ad un evento tanto atteso, la nascita del proprio bambino. Ma siamo sempre più abituati a liberarci al più presto dal dolore, a cercare di evitarlo il più possibile, viviamo in un mondo in cui sempre più “non si può stare male”. Questa modalità rischia di portare ad un atteggiamento di “fuga” da ciò che sta succedendo, in particolare nel parto, che produce un irrigidimento dei tessuti del proprio corpo (livello fisico) o una “scotomizzazione” dell’evento, cioè un allontanamento di sé dall’evento stesso (“lo sopporto aspettando che passi”, come se fosse qualcosa di altro da sé) (livello cognitivo-emotivo).

La consapevolezza che il dolore faccia parte della vita non è nuova. Ma quello che è importante chiarire in un’ottica positiva del vissuto del parto, è quali sono i processi psicologici che rendono il dolore un momento di crescita. Possiamo chiederci quale significato abbia, quindi, il parto nella vita di una donna, e in che senso possa rappresentare un’esperienza che la fa crescere.

Ecco che il primo importante elemento di crescita è individuabile nell’allargamento dei confini dell’Io. Considerarsi capaci di qualcosa (sopportazione del dolore funzionale alla nascita del bambino) che prima dell “evento parto” era ritenuto al di fuori della propria portata, rappresenta un “salto” di crescita a livello di strutture profonde della persona, dato che coinvolge in modo globale il corpo e la psiche. Il “salto” di crescita si riferisce al carattere di emergenza che caratterizza il parto. Per quanto ci si possa preparare a partorire, l’abilità concreta si esprime nel giro di poche ore. Si potrebbe affermare che soltanto l’equilibrio psico-fisico di una donna matura può far sì che il parto sia vissuto come un’esperienza profonda di crescita, ricca di consapevolezza e di una rinnovata integrità a livello dell’intero organismo.

La terapia della Gestalt ci insegna che ogni esperienza di contatto si può suddividere in quattro fasi: pre-contatto, contatto, contatto pieno, post-contatto (Perls, et al., 1997). In quanto processo psicologico possiamo distinguere nel parto 4 fasi:

  • fase di pre-contatto (il travaglio) in cui la madre e il bambino si preparano alla nascita, evento nuovo che sta per accadere, e, in quanto nuovo,  carico di eccitazione;
  • fase di contatto (fase espulsiva) in cui le spinte della madre e il dolore sofferto e provocato dal bambino permettono il loro incontro;
  • fase di contatto pieno (la nascita) in cui madre e figlio s’incontrano per la prima volta;
  • fase di post-contatto  in cui i due si separano, si percepiscono come esseri distinti e contemporaneamente assaporano una vicinanza nuova e una nuova forma di contatto.

Cos’è possibile capire e imparare, quindi, da un evento naturale così potente, e anche violento e imprevedibile, che suscita immensa  gioia, ma anche grande dolore come il parto?

E’ possibile per la donna divenire consapevole che le abilità psicologiche utili affinché questo processo si completi con naturalezza e integrità/integrazione psico-fisica potranno servirle in altri contesti di vita in cui dal momento del parto in poi sarà inserita, mantenendo la flessibilità nel farsi invadere/separarsi nel futuro rapporto con il figlio, capacità emblematica della funzione materna.

Ecco che, a mio parere, il contesto di cui il parto è metafora calzante è quello del rapporto madre-figlio.

L’ “arte di partorire” richiede, infatti, l’attivazione di funzioni di personalità relative al “prendersi cura di.”: la partoriente, e poi la madre, debbono lasciarsi invadere dal dolore (quante volte, infatti per esempio, la preoccupazione per un figlio può sfociare in un vero e proprio dolore…) solo fino a quando è necessario, per poi ritirarsi e ritrovare i propri confini.


Dott.ssa Irina Boscagli
Psicologa Psicoterapeuta a Firenze

Dott.ssa Irina Boscagli

Psicologa Psicoterapeuta a Firenze
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